Al Ministro della Cultura
Al Capo di Gabinetto
Al Capo Ufficio Legislativo
Al dirigente delegato dell’Istituto centrale per la Digitalizzazione del patrimonio culturale (Digital Library)
Al Presidente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici
Ai presidenti dei Comitati tecnico-scientifici del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici
Lo scorso aprile le associazioni MAB (AIB, ANAI, ICOM), insieme a numerose altre associazioni di professionisti dei beni culturali, società di storici e consulte universitarie, avevano contestato pubblicamente l’adozione del DM 161/2023 (Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali) per la rimozione delle gratuità fino ad allora garantite alla pubblicazione di immagini di beni culturali statali e per le pesanti ripercussioni che il decreto avrebbe causato sulla ricerca scientifica, sull’editoria culturale nonché sulla libera manifestazione del pensiero.
Nonostante il dissenso manifestato, a distanza di quasi otto mesi quel decreto è rimasto pienamente operativo e ancora si attende una risposta dal Ministero rispetto sia alle obiezioni allora mosse dalle associazioni sia alle richieste di un confronto diretto con l’amministrazione.
Nel frattempo, un buon numero di istituti ministeriali ha progressivamente recepito il decreto all’interno dei propri regolamenti relativi alle riproduzioni, facendo emergere all’atto dell’applicazione numerose contraddizioni opportunamente rilevate sia in sede di discussione scientifica sia sulla stampa generalista.
Esse derivano principalmente dall’adozione del sistema dei coefficienti e dalla distinzione tra riproduzione a scopo di lucro/non a scopo di lucro in luogo della – più funzionale – distinzione tra acquisizione e modalità d’uso delle riproduzioni, come pure dalla mancata regolamentazione delle tariffe d’uso relative alle riproduzioni oggetto di download o di esecuzione in proprio da parte degli utenti.
Tali criticità si sarebbero potute evitare qualora il decreto fosse rimasto coerente (malgrado i richiami nel testo) alle “Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale” allegate Piano Nazionale Digitalizzazione (PND) che ne avrebbe dovuto rappresentare il necessario e più logico presupposto. Peraltro, il PND, nato per essere il contesto strategico di riferimento per la realizzazione degli obiettivi del PNRR – Investimento M1C3 1.1 “Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale”, a differenza del decreto è l’esito di un’elaborazione condivisa tra rappresentanti degli organi centrali e periferici del Ministero ma anche di un confronto fruttuoso operato con Regioni e Enti locali e con le associazioni dei professionisti dei beni culturali in un’ottica di Open Government.
Già lo scorso anno la Corte dei Conti aveva invitato il Ministero ad “abbandonare i tradizionali paradigmi “proprietari”, in favore di una visione del patrimonio culturale più democratica, inclusiva e orizzontale” anche in considerazione del fatto che generalmente “il rapporto tra costi sostenuti per la gestione del servizio di riscossione e le entrate effettive generate è a saldo negativo” (Deliberazione n. 50/2022/G).
La Corte di recente è tornata sull’argomento (Deliberazione n. 76/2023/G) bocciando espressamente il decreto in questione, il quale incide negativamente “su temi centrali connessi allo studio ed alla valorizzazione del patrimonio culturale nazionale, nonché ad una più ampia circolazione delle conoscenze” in quanto appare “non tener conto né delle peculiarità operative del web, né del potenziale danno alla collettività da misurarsi anche in termini di rinunce e di occasioni perdute; ponendosi, così, in evidente contrasto anche con le chiare indicazioni che provengono dal Piano Nazionale di Digitalizzazione (PND) del patrimonio culturale”.
La deliberazione richiama anche la necessità di dare seguito alla direttiva (UE) 2019/1024 sul riuso dei dati della pubblica amministrazione e di promuovere licenze Open Access. Con una significativa inversione di prospettiva la Corte dei Conti sembra non rinvenire più un danno erariale nel ricorso a licenze di libero riuso, le quali possono al contrario tradursi in una fonte significativa di risparmi per la pubblica amministrazione oltre che un incentivo allo sviluppo culturale, sociale ed economico per la società in una logica win-win.
A ciò si aggiunga che le recenti modifiche al PNRR, valutate positivamente dalla Commissione europea proprio in questi giorni, prevedono strategicamente un incremento degli investimenti a sostegno della transizione digitale, per l’efficienza della PA e per lo sviluppo delle competenze digitali e tecnologiche. Può dunque il settore dei beni culturali, che ha colto precocemente le opportunità fornite proprio dal PNRR per spingere verso l’innovazione e l’accessibilità del patrimonio, essere frenato da una regolamentazione anacronistica e (a detta della Corte dei Conti) palesemente antieconomica?
Tutto ciò considerato, per le ragioni di opportunità sopra evidenziate, le associazioni MAB chiedono al Ministro della Cultura di rivedere integralmente il decreto il DM 161/2023, ben al di là degli annunciati ritocchi in materia di pubblicazione, per riallinearlo ai contenuti e alla struttura delle Linee guida del PND (e a tutte le gratuità ivi previste) nonché di rendere vincolanti tali Linee guida. Le associazioni MAB chiedono infine, in coerenza con i rilievi della Corte dei Conti, di affiancare all’etichetta “Beni Culturali Standard” (BCS) la possibile adozione di licenze aperte (Open Access) per il rilascio di immagini di beni culturali statali e dichiarano la propria disponibilità a collaborare con il Ministero al fine di pervenire a una soluzione condivisa nell’interesse di tutti.
Laura Ballestra, La Presidente AIB
Erika Vettone, La Presidente ANAI
Michele Lanzinger, Il Presidente ICOM Italia